Di Elisa Alfandari
Questo libro intervista, “Farò e Capirò”, scritto da Franca Eckert Coen e Francesca Baldini (edizioni Efesto, 2022) parla proprio a tutti, in particolare parla attraverso le generazioni.
Riesce a partire da un’epoca che alle persone della mia età sembra così distante ma che, grazie alle parole di Franca, riesce a sembrare più vicina e molto più simile di quanto si possa credere.
“Farò e capirò” è un libro pieno di sorprese che fa davvero ragionare e riflettere su diversi aspetti.
Francesca e Franca riescono a parlare di eventi così dolorosi e importanti come la Shoah attraverso il racconto di una vita. Una vita, quella di Franca, ricca e piena di gioie e anche di dolori che però, dice l’autrice stessa, non devono sostituire la persona in quanto tale; quei dolori sì, hanno segnato la nostra storia, ma devono aiutare a comprendere meglio il mondo e gli altri; devono dare degli insegnamenti, non devastare.
Purtroppo, molto spesso quando si parla di Ebraismo lo si associa immediatamente alla Shoah. Ma benché la Shoah vada sempre ricordata non deve essere confusa con l’ebraismo di per sé. L’ebraismo è vita, è cultura ed è anche memoria. Per questo motivo, come scrive Franca nel suo libro, è importante che ogni ebreo conosca la propria storia sia per tramandarla alle generazioni future sial per far conoscere al mondo l’ebraismo stesso; perché è solo con la conoscenza che l’ignoranza, e di conseguenza qualsiasi forma di pregiudizio e odio, può essere sconfitta.
Nel suo libro Franca ha scritto di aver dovuto ‘’dimenticare la natura della sua identità’’. Ecco, questo punto mi ha colpito particolarmente. E in questo caso Franca si riferiva al fatto che durante la guerra – ricordando l’aneddoto in cui ha dovuto fingersi cattolica – per sopravvivere dovesse dimostrare di non essere ebrea.
Naturalmente non paragonerei mai gli orrori subiti dagli ebrei durante la Seconda guerra mondiale alla situazione degli ebrei oggi in diaspora (quindi al di fuori di Israele); ma è triste pensare che anch’io talvolta mi sono ritrovata a fingere di non essere ebrea o comunque ad evitare di dire di essere ebrea, rinnegando quindi in qualche modo la mia stessa natura.
Quando ero più piccola ho subìto sulla mia pelle l’effetto dei tanti pregiudizi che le persone hanno sugli ebrei e sull’ebraismo. Ne ho subito la cattiveria. Quindi crescendo mi sono chiesta perché dovessi soffrire per il solo fatto di essere di una religione diversa rispetto a quella della maggioranza; mi sono chiesta, può l’appartenenza religiosa condizionare così tanto il valore di una persona?
Questo vissuto mi ha portato ad evitare di dire di essere di fede ebraica proprio per evitare gli insulti o magari le battutine.
Proprio come Franca, ho vissuto in un paese – a dire il vero più piccolo di Modena -, in cui io ero l’unica bambina ebrea, insieme ai miei fratelli; non ho frequentato molto la comunità ebraica, se non per la preparazione al mio Bat Mitzvah e per le festività. Questo mi ha inevitabilmente portato ad avere sempre al mio fianco amici al di fuori della comunità, il che ha i suoi pro, ma anche i suoi contro: ho subito notato la mia diversità rispetto agli altri.
Questo mi ha portato del dolore a volte, dolore che è anche servito a capire cosa volesse dire diversità e quali siano i suoi vantaggi.
Apprendere fin da subito il significato più profondo della parola diversità ti pone inevitabilmente nella condizione di poter guardare gli altri con un’ottica diversa; di poter capire che le caratteristiche di ciascuno di noi richiedono atteggiamenti diversi e che soprattutto è fondamentale affrontare chiunque con rispetto, anche se è distante da noi e magari inizialmente di difficile comprensione. Anche grazie all’ebraismo ho capito che tutti noi dobbiamo sforzarci di comprenderci e di imparare gli uni dagli altri, perché nessuno merita di soffrire per le parole “ignoranti” di qualcun altro.
Elisa Alfandari, Comunità ebraica Beth Hillel, Gruppo giovani Religions for Peace Italia.