Salmo dei gradini
“Troppo ha assaporato l’anima nostra il dileggio”
Prosegue la pubblicazione dei commenti ai quindici salmi dei gradini
Di Bruno Di Porto
ֹשִיר הַמַּעֲלוֹת אֵלֶיךָ נָשָֹאתִי אֶת עֵינַי הַיֹ שבִי בַֹּשָמָיִם
הִנֵּה כְעֵינֵי עָבָדִים אֶל יָד אֲדוֹנֵיהֶם
כְּעֵינֵי שִפְחָה עֶל יַד גְבִרְתָה
כֵּן עֵינֵינוּ אֶל יְהוֹה אֱלֹהֵינוּ עָד שֶיְחָנֵּנוּ
חָנֵּנוּ יְהוֹה חָנֵּנוּ כִּי רַבֹ שָֹבַעְנוּ בוּז
רַבַּת שָבְעָה-לּהּ נַפְֹשֵנוּ הַלַּעַג הַֹשַאֲנַנִּים הַבּוּז לִגְאֵי יוֹנִים
Traslitterazione e Traduzione
Shir Hammaalot. Elekha nasati et einai, hayoshvì ba shamaim
Canto dei Gradini. Verso di Te alzo i miei occhi, abitatore dei cieli
Hinné keeiné avadim el yad adonehem
Ecco, come gli occhi di schiavi verso i loro signori (padroni)
Ke einé shifchà el yad ghevirtà
Come gli occhi dell’ancella verso la sua signora
Ken einenu el Adonai Elohenu ad she yechannenu
Così i nostri occhi verso il Signore nostro Dio affinché ci faccia grazia
Channenu Adonai, channenu, ki rav savanu vuz
Facci grazia, Signore, facci grazia, perché troppo abbiamo assaporato il disprezzo
Rabbat savàllà nafshenu hallaag hashanannim habuz lighé yonim
Troppo ha assaporato l’anima nostra il dileggio, lo sprezzo dei superbi
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E’ una commovente invocazione di dignità, rivolta a Dio, per un trattamento avvilente subìto da una onesta e sensibile persona, a nome di altri simili, presumibilmente da parte di una categoria privilegiata, dotata di potere, oppure di gruppi o ambienti tanto presuntuosi quanto prepotenti, cui persone dabbene erano esposte. Dunque, il salmista, uomo dignitoso e di fede, si rivolge a Dio in profonda preghiera. Il disturbo e l’offesa presumibilmente provenivano, per il compositore del salmo, dall’interno della stessa società ebraica, perché non si parla di stranieri e deve dolere all’orante che ciò avvenga entro il popolo che ha ricevuto, per rivelazione o ispirazione, norme di giustizia, rispetto e solidarietà. Così come, per paragone, nel salmo 139, analizzato in un altro mio contributo, l’autore, sentendo di essere seguito e sondato, ad ogni passo, nella vita e nel pensiero dal Signore, ad un certo punto gli confessa di trovarsi in un ansioso stato d’animo, dovuto alla presenza insidiosa e disturbante di malvagi, che per giunta falsamente pregano in pubblico e ostentano fedeltà alle norme religiose. Tali malvagi, descritti nel salmo 139, sembrano dunque essere indegna parte della stessa società ebraica in terra di Israele, analogamente ai superbi di questo salmo 123. Ma, nel corso della storia, in successive circostanze di sottomissione a poteri stranieri o di dispersione e di esilio, il salmo è stato letto ed inteso come espressione di sofferenza per le offese e il disprezzo rivolti agli ebrei da altre genti, forse nella stessa loro patria invasa e dominata, oppure durante l’esilio. Nell’ultima locuzione del salmo si è allora, per esempio, indicato il termine yonim come yavanim ossia greci, nel senso di monarchie e gruppi ellenistici, con cui si è avuto a che fare, specialmente nell’epoca dei maccabei. Ellenisti non erano soltanto gli occupanti o avversari stranieri, ma anche ebrei di cultura ellenistica, che ostentavano o parevano ostentare superbia per cognizioni, linguaggio, atteggiamenti appresi o imposti da altri popoli e vantati, per così dire, come più moderni e brillanti. Il riferimento può essere stato rivolto al potere siriaco, di area ellenistica oppure, appunto, a ebrei che con esso collaboravano o vi si adeguavano, vantando superiorità, al tempo dei Maccabei.
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Dante Lattes ha inteso il salmo 123 in chiave morale e sociale: «Un infelice, vittima di una società di gaudenti, pieni di boria … Questo atteggiamento umile dipende dallo stato di abiezione nella quale si trovava il poeta o si trovavano quelli nel cui nome egli parlava. Erano povere anime in balia dell’altrui disprezzo; erano esseri reietti in una società di gaudenti orgogliosi, di ricchi egoisti che non degnavano di uno sguardo umano e di un atto pietoso verso i poveri ….. Se è un canto di pellegrini deve essere stato posto in bocca a gente umile, povera e disprezzata, a proletari senza alcuna fortuna … oppure ai miseri reduci dall’esilio, pieni di miseria e di amarezza».
Significativo, come ha osservato il biblista cattolico Gianfranco Ravasi, il fatto che questo salmo sia stato serbato nel rotolo dei salmi della comunità essenica di Qumran, coltivante ideale di purezza e di solidarietà collettiva.
Rashì, rabbino e dotto medievale di Troyes, città francese, così chiamato, in sigla, dalle iniziali di Rabbi Shelomò Itzchak, vissuto nell’undicesimo secolo e morto all’inizio del dodicesimo, ha così interpretato le locuzioni finali li ghé yonim, in: li con significato di verso; gh con significato di valle, yonim con significato di colombi colombe, cioè la valle delle colombe, alludendo a Gerusalemme, oggetto di disprezzo per genti straniere che non ne condividono la tradizione e la fede. Ne tratta, tra altre sottili interpretazioni, Giampaolo Anderlini nel libro I QUINDICI GRADINI. UN COMMENTO AI SALMI 120 – 124, con prefazione di Paolo De Benedetti, Firenze, Giuntina, 2012.
Comunque il poetico volgersi con pura fede all’Eterno, trovandosi esposti ad ingiusto e prevenuto disprezzo, è stato compreso e condiviso in diverse situazioni e in diversi tempi, trovandone in questo salmo l’esemplare voce ed esempio.
Seguirà, la prossima settimana, il salmo 124 che similmente presenta situazioni di oltraggio e di pericolo, ma felicemente evitate dal provvidenziale intervento del Signore, con esplicito riferimento a vicende e sorti del popolo ebraico.
Bruno Di Porto
Commento al Salmo 121