חַנֻכָּה
25 kislev 5782
28 novembre 2021
di Bruno Reuven Di Porto
Hanukkà significa inaugurazione o dedicazione del Tempio in Gerusalemme, che fu riconsacrato e daccapo inaugurato dopo la profanazione avvenuta durante la dominazione siriaca, grazie alla vittoriosa insurrezione condotta dai Maccabei.
La festa, detta anche Festa delle luci che si accendono ogni sera, inizia il 25 del mese di Kislev e dura otto giorni, aggiungendo ogni sera una candela nel candelabro, detto chanukkià. Si celebra appunto l’insurrezione contro il dominio siriaco e la liberazione di Gerusalemme con inaugurazione del riconsacrato Tempio.
L’epoca degli avvenimenti che si commemorano è il secondo secolo avanti l’era cristiana, partendo dal necessario antefatto della divisione dell’impero di Alessandro Magno, dopo la sua prematura morte (323 a.C.), tra i suoi generali o diadochi (successori), che furono in continuo contrasto tra loro.
La terra di Israele fece dapprima parte, con l’Egitto, del regno di Tolomeo Sotere e i suoi successori, chiamati anche Lagidi (da Lago, padre di Tolomeo I), con capitale Alessandria, la città fondata da Alessandro Magno, via via popolata anche da una notevole comunità ebraica e sede di una cultura ebraica all’incontro con la civiltà ellenistica.
Sorsero città ellenistiche, di cultura greca, anche in terra di Israele. L’ influenza ellenistica attrasse ebrei, nella stessa terra di Israele, con conseguenti differenze e controversie in seno al popolo ebraico, ma non era ancora coattivamente invasiva nella sua corrente più assimilatrice. Il regno tolemaico fu in contrasto con il regno siriaco dei Seleucidi, discendenti di Seleuco, generale di Alessandro Magno, e avendo perso la battaglia di Panion (anno 198 a.C.), presso le fonti del Giordano, dovette cedere la terra di Israele ai Seleucidi.
I Seleucidi vinsero sui Lagidi, ma se la dovettero vedere con l’ espansione romana. I romani, comandati da Lucio Cornelio Scipione, detto poi Asiatico, batterono Antioco III, nella battaglia di Magnesia, nella attuale Turchia, nel 190 a.C. Gli sottrassero quella regione, gli tolsero gli elefanti usati per scopo bellico e gli imposero une forte indennità.
Il regno siriaco, pressato da Roma, traspose la pressione sui paesi dominati. Seleuco IV Filopatore, figlio di Antioco III, cercò di metter le mani sui beni del Tempio di Gerusalemme, che serbava anche fondi affidatigli da privati. Ve lo attirò un collaborazionista ebreo di nome Simone. La popolazione di Gerusalemme oppose resistenza e l’accesso al Tempio fu sbarrato da robusti vigilanti, descritti dalla leggenda agiografica come cavalieri celesti.
A Seleuco successe il più deciso Antioco IV, che al bisogno di quattrini affiancava un accresciuto dispotismo colorito di religione, presentandosi come Epifane, una regale manifestazione della divinità. Era stato ostaggio dei Romani per quattordici anni ed era salito al trono col loro permesso. Sapeva quanto fosse difficile misurarsi con Roma e più se ne dovette accorgere quando il legato romano Gaio Popilio Lenate gli intimò di desistere da un’azione contro l’Egitto. Anche per fronteggiare culturalmente la potenza latina, si fece campione della civiltà ellenica nello stadio aggiornato dell’Ellenismo, con una tonalità religiosa volta a sacralizzare il potere. La volle imporre anche agli ebrei, una parte dei quali, per così dire modernizzante, la condivideva in una sorta di sincretismo. Ma ad Antioco non bastava il compromesso con questi strati, tra i quali del resto variava il grado di assimilazione all’ellenismo, non mancando settori che perseguivano equilibrio e serbavano valori tradizionali e nazionali. Antioco voleva di più, nominava e destituiva proni personaggi alle cariche sacerdotali. Cominciò ad imporre rituali greci, sacrifici agli dei e trasgressioni della Torà, come pasti in pubblico con ostentazione di carne suina. Giunse, nel dicembre del 167 a.C., a violare il Tempio, collocandovi la statua di Zeus, scolpita con le proprie fattezze.Vi furono ebrei che affrontarono il martirio pur di non infrangere i precetti. Altri ebrei si ritirarono lontano dai centri abitati per tener fede alla tradizione. Coraggiose pattuglie scelsero la via della Resistenza al seguito della prode famiglia asmonea dell’anziano Mattatià, che diede il via all’insurrezione dalla cittadina di Modin, presso Lidda, coi cinque figli, detti Maccabei, dal soprannome (Martello, Maccabi) di Yehudà (Giuda): gli altri fratelli erano Yochanan (Giovanni), Shimon (Simone), Eleazar, Yonatan (Gionata).
Il vecchio padre di lì a poco morì.
Data la disparità delle forze con l’esercito regolare siriaco, i Maccabei intrapresero una guerriglia di tipo partigiano, riuscendo sul finire del 165 a.C., a liberare Gerusalemme; entrarono nel Tempio, lo purificarono dalle contaminazioni politeistiche o idolatriche, lo riconsacrarono e vi inaugurarono il ripristinato culto ebraico.
Hanukkà, nome dell’evento e della ricorrenza, significa appunto Inaugurazione.
Era il 25 del mese Kislev, che il popolo ebraico di anno in anno festeggia, celebrando l’evento. Il Tempio fu illuminato con la tradizionale lampada, la Menorà, ma si reperì, in quella situazione di emergenza, poco olio per l’accensione, pensando quindi che l’illuminazione durasse poco.
Secondo la leggendaria tradizione, la fiamma durò prodigiosamente otto giorni, sicché altrettanto dura il festeggiamento di anno in anno, accendendo ogni sera, nelle sinagoghe e in ogni casa, la lampada, diversificata dalla comune Menorà (lampada a sette bracci) e quindi detta Chanukkià.
La Channukià è dotata di un braccio in più che sporge, con l’appoggio per apporvi una candela di servizio (shammash) onde servire all’accensione delle altre.
Sorse in seguito una discussione tra le scuole di due celebri maestri, Shammai ed Hillel, vertente sulla scelta se si debba partire, la prima sera, dall’accensione di tutte le otto candele, diminuendo di sera in sera (così sostenne rabbi Shammai), oppure cominciare con una sola candela ed aumentare il numero di sera in sera. Così sostenne rabbi Hillel, il cui parere prevalse.
Le candele destinate all’accensione della hanukkià non devono servire ad altri usi, pratici o profani.
L’accensione è preceduta da un’apposita benedizione. Dopo l’accensione si recita una dichiarazione che ne spiega il significato. Quindi si intona il salmo 30, canto per l’inaugurazione della Casa di preghiera. Si prosegue con il celebrativo inno «Maoz Zur Yeshuatì» (Possente Rocca della mia Salvezza).
Ecco l’inizio dell’inno:
מָעוז צוּר יְשוּעָתִי לְךָ נָאֶה לְשָבֵּח
תִכּון בֵּית תְפִלָּתִי וְשָם תודָה נֵזַבֵּחַ
Maoz Zur Yeshuatì Lekhà naè leshabeach
Tikkon bet tefillatì ve sham todà nezabeach
Possente Rocca della mia salvezza, a Te si conviene dar lode, ristabiliamo la casa della mia preghiera e là faremo il rito di ringraziamento.
La guerra non terminò con la liberazione di Gerusalemme e la riappropriazione del Tempio. Continuò con alterne vicende e nel 160 a.e.v. cadde Yehudà in battaglia.
Alla resistenza sul piano militare i condottieri affiancarono un’azione diplomatica di primo rapporto con Roma, che continuava ad indebolire e a circoscrivere l’egemonia siriaca, e con altri popoli e città, in particolare Sparta. Si inviò in Roma un’ambasceria ebraica, che fu ricevuta in Senato. Era invero un’alleanza pericolosa con il leone, perché Roma, più tardi, investì la Giudea, occupandola, fino alla tragedia nazionale del 70, quando il Tempio fu distrutto. Ma Roma si sarebbe comunque espansa nel Levante, fino a incombere sullo Stato ebraico.
Intanto, nel secondo secolo, si pervenne, sotto la dinastia asmonea, ad ottenere una soddisfacente misura di autonomia regionale dal Regno siriaco e successivamente all’indipendenza, con ampliamento dello Stato giudaico.
Le vicende sono narrate nei Libri dei Maccabei. Il primo fu scritto originariamente in ebraico, ma resta solo in traduzione greca. Il secondo fu redatto originariamente in greco. Per questo motivo, non essendo in ebraico, non sono compresi nel canone ebraico della Bibbia (Tanakh), ma sono stati conservati e inclusi nel canone cattolico e in quello greco ortodosso della Bibbia. Vi è anche un terzo ed un quarto libro, ma sono giudicati apocrifi e come tali non sono compresi nel canone cattolico. Il canone ortodosso comprende anche il quarto. Il terzo libro ha argomento diverso, che non riguarda in effetti i Maccabei, perché tratta di una persecuzione degli ebrei in Alessandria, di età precedente, sotto i Tolomei, non riscontrata in quei termini e proporzioni dalla storiografia, e del prodigioso intervento salvifico.
Chag Sameach,
Bruno Reuven Di Porto
Professore in quiescenza di Storia del giornalismo e Storia Contemporanea, Università di Pisa.